Rebecca con vista sul lago di Sils Maria


Lago di Sils, Valle Engadina
Novembre 2017

Rebecca propone on-line il racconto UN VILLAGGIO DEI GRIGIONI.

E’ stato pubblicato periodicamente a cadenza settimanale, dal 23 maggio al 7 agosto 2022.

sasso con striature metamorfiche color sabbia e grigio

Una località imponente e selvaggia delle ALPI

mi ispira una certa fiducia: devo avere coraggio. 

Nietzsche, da una lettera scritta in Italia nell’inverno del 1883

A Aldo e Silvana Petti, e

a Marco

Un villaggio dei Grigioni 

Per quel che ricordo, era un giorno di lampi e di tuoni quando siamo partiti in macchina la mattina presto da SILS MARIA per tornare in Italia. Dovevamo passare il MALOJA. E sarà stata proprio quella la volta in cui, scendendo da uno di quei tornanti di ghiaccio, la macchina ha giravoltato rischiosissimamente su se stessa con i freni slittanti.

Il MALOJA era in modalità BIANCO E NERO, con le sue immense conifere scure, che oscillavano piegate da una tregenda di vento o di neve o di brina o di semplice pioggia.

NON LO SO. I ricordi si affollano e si sovrappongono dal prossimo futuro, ossia dal remoto passato. Ma mi ricordo bene che era scattato in noi il bisogno istintivo di un rifugio da tutto quel furore, l’idea di un fuoco grande di fronte al quale stare, in un luogo accogliente e riparato.

Attraversavamo una valle scura. Io probabilmente neanche ancora sapevo che era la BREGAGLIA. In più, a causa del mio terrore del maltempo, non avrò avuto la calma interiore necessaria a guardarmi intorno per vedere tutti quei prati dolci e declivi, sparsi di alberi immani, conici e neri.

CI SARANNO STATI I LARICI che in quelle valli sono moltitudine e che in autunno hanno le foglie di un piumoso arancione (la cui morte sembra una fioritura).

ORA LO SO: quella rugginosità svaporante nelle nebbie, quell’effetto soffice di boschi nerodorati indelimitabili, che tappezzano interi versanti è dovuto ai LARICI: in media tre accerchiano ogni abete, spezzando così, con quel piumoso arancione, la dicromia, altrimenti rigorosissima e priva di nuances, che oppone il verde gajo dei prati al verde cupo degli alberi.

Proseguendo ci infilammo nella stradina principale di un villaggio che mi affascinò immediatamente per la sua gran desolazione e perché non c’era un negozio, neanche uno, per la pietra grigia, quasi schiacciata, sui comignoli delle sue case sobriamente dipinte (non sgargianti come in ENGADINA) e perché sembrava non avere su di sé quel cielo furibondo. Il maltempo era rimasto fuori di lì, sulla strada che attraverso il MALOJA scende da Saint Moritz e che in genere percorrono i brianzoli infoiati di week end (li avrei presi di mira anni dopo in quel mio hypersonnet ispirato allo Zarathustra di NIETZSCHE).

Ricordo che il balconcino dell’albergo, che doveva essere l’unico nel villaggio, rutilava di festoni rossi e altri addobbi, quindi doveva essere Dicembre, forse l’otto. Alessandro era sensibile ai prezzi, non così alti come in Engadina; io al fatto che non si vedesse nessuno in quelle strade, del resto nei villaggi dei cantoni tedeschi era così: DESOLAZIONE TOTALE. Anche nei mattini di primavera in strada non passava anima viva. Così, mentre mi immaginavo, in piazzette solitarie, su cui incombevano Alpi oscure, fontane di acqua fredda che chioccolavano imperturbate, varcammo un portale basso, di legno ad arco. Salimmo una scalinata di pietra grigioscura, forse quella stessa dei comignoli, che estratta da qualche monte dei dintorni, doveva essere il marchio minerale della valle, per quel che ricordo, aveva anche un nome particolare. DI FRONTE ALLA RECEPTION C’ERA UNA STUFA DI PORCELLANA DIPINTA, ALTISSIMA: effetto vagamente austriaco e sparsi su dei tavolini alcuni dépliants fotografici della BREGAGLIA E DELL’ENGADINA con immagini di laghi, e io intanto mi dicevo che nessuna promozionale migliorìa cartolinesca poteva rendere l’idea della bellezza di quei luoghi. Se dovessi ora dire il colore delle tovagliette che accompagnavano il legno delle seggiole, intagliato di cuori, dovrei dire scarlatto. La STUBE era tutta di legno fin nel soffitto, da cui pendevano lanterne simili a quella del dipinto di un GIACOMETTI, che ritrae una grande famiglia illuminata, tutta raccolta nel fascio rossigno di una baita. Non ricordo se le finestre della STUBE inquadrassero altre case del villaggio o i profili acuminati delle Alpi accerchianti.

A un certo punto ci venne incontro un signore bruno, quasi ricciuto. Sorriso splendente. Accento vagamente comasco. Ospitalità fatta persona.