Ricordo benissimo quel pomeriggio di primavera o di prima estate quando mi trovavo nella stanzetta sul cortile, ipersatura di strumenti a tastiera e il mio compagno mi chiese di scrivere un pezzo sui sintetizzatori. E io: pezzo? Quale pezzo? Un articolo, un racconto? E poi di sintetizzatori non sapevo niente. Niente di niente sulla musica elettronica. Come avrei potuto scrivere un pezzo sui sintetizzatori? Avevo letto solo qualche pagina dei diari di Luigi Nono e avevo perennemente sott’occhio per motivi miei, un foglio della sua partitura delle Risonanze Erranti. Basta, era tutto quello che sapevo sulla musica elettronica! Ma quel pomeriggio imparai che alcuni effetti di sintetizzatori si chiamavano Harmonizer e Halaphone, nomi molto risonanti. Cominciai a chiedermi come sarebbe stato e cosa avrebbe fatto uno che si fosse chiamato Harmonizer. È da quella domanda che è partito tutto: la fiaba siderale contenuta nel libro La memoria perduta di Harmonizer ho cominciato a scriverla proprio quel pomeriggio di primavera.
Ora, diventa difficile dire come e perché fin da subito si sia rivelato così fondamentale il libro delle CITTÀ INVISIBILI.
Fondamentale per motivi strutturali e stilistici.
Posso solo riandare con la memoria a quello stesso pomeriggio di primavera quando si scatenò in me una caccia veramente forsennata a parole presenti in ciascuna delle cinquantacinque CITTÀ DELL’IMPERO.
Parole che mi aiutassero a descrivere la CINQUANTASEIESIMA CITTÀ, cioè il CRATERE COSMICO, nel quale per brevi periodi appaiono organismi muniti di autocoscienza. Le ho chiamate TARSIE TESTUALI, ma poi ho dovuto toglierle per problemi editoriali.
In verità, alla fine ne avevo tratte di più di cinquantacinque: mi ero lasciata prendere la mano e avevo pescato pure nelle cornici.
Lo stile era già pronto e servito da CALVINO: del resto, dovevo realizzare bene l’intarsio, ricorrere a una sorta di criptomimesi stilistica affinché le tarsie trapiantate attecchissero e non venissero rigettate.
Ma la sintassi si è poi scontorta in periodi ipotattici piuttosto rampanti. Le tarsie tra l’altro mi avrebbero consentito di essere in amorosa polemica con chi negli anni Settanta del XX secolo era il gran giocattolaio delle fabule, l’intarsiatore dei POSSIBILI: Italo Calvino, appunto!
Il lettore di quella storia era sospeso nel limbo dei non nati, dei futuri. Attualmente non esisteva. Ogni volta che pensavo alla sua inesistenza mi venivano in mente le scene finali del film di S. Spielberg, Artificial Intelligence.
All’inizio qualcuno ha avuto da ridire sul nome presente nel titolo. Harmonizer infatti rievocava una famosa canzone degli anni Ottanta là dove appunto si parlava di un Harmonizer della specie dei sintetizzatori. Questo avrebbe demotivato e allontanano i potenziali lettori. Sarebbe stato preferibile che il titolo fosse La memoria perduta di HARMY perché così il libro sarebbe sembrato uno spaghetti fantasy, sulla scia delle copie nostrane di Harry Potter. Infatti, nelle prime pagine, Harmonizer stile Biancaneve, si risveglia in una bara di cristallo nel giardino degli ibernati “bianco come un antico mago”.