Lo stile è vario e originale, in prevalenza epistolare e rivolto a un tu in carne ed ossa: il tipo del bar, destinatario delle consegne dei sonetti e dei documenti che li accompagnano – detti documenti ‘di trasporto’ – secondo una precisa sequenza numerica che si disvela via via che si protraggono le erranze dell’autrice, ma che non è sopravvissuta alla versione finale dell’opera. La sequenza numerica che regolava le consegne, scandita dalla insolita numerazione dei capitoli, è implosa naturalmente per il volgere degli eventi, sebbene fosse frutto di un’architettura magistrale, certamente funzionale alla stesura del testo e a tessere l’intrigo. Ne rimane qualche cenno nel testo, senza che sia di fatto necessario un suo approfondimento esplicativo. Alcuni Sonetti sono stati regolarmente consegnati, in incontri del tutto casuali, uno alla volta e accompagnati da appositi documenti scritti con lo scopo di avvicinare il Lettore e fargli cogliere le sfumature dell’interesse di fatto nutrito dalla protagonista. Parte una specie di caccia al tesoro dove il tesoro ironicamente si sdoppia, altalena ambigua tra il Bello e … il libro stesso, che tra sonetti, sms e documenti effettivamente consegnati in cartelline azzurro cielo, intanto si fa, con una struttura sempre più elaborata e misteriosa. La vita scritta e la vita reale si sovrappongono indistinguibili. Al Bello – bersaglio di Cupido? Espediente letterario? – rimane la scelta: essere il protagonista di un romanzo molto strano o il destinatario reale di sentimenti così intensi da smobilitare una fantasia ultra-creativa per essere raggiunto. La domanda aleggia, chiaramente senza una risposta univoca, tra la luce che filtra sotto gli occhi dei portici e gli sguardi che incrociano palazzi, chiese, finestre non solo di Bologna, ma di tanti luoghi che emergono dai ricordi della voce narrante. Come è andata a finire, lo disvela la protagonista già nelle primissime pagine, partendo dalla fine e giocando a saltare avanti e indietro nel tempo… quasi a far esperire a chi legge come il tempo possa non aver solo il significato più comune, quando la forza della memoria arriva a divorare il piano di realtà del presente.
Altro aspetto originale: l’ipertestualità. Questa è una caratteristica intrinseca di tutti i lavori di Rebecca: scrivere inglobando spontaneamente nel testo riferimenti a opere, arie musicali, luoghi, quadri e tutto quello che la sua mente percepisce probabilmente come realtà espansa, lasciando al lettore una scia di stimoli che si possono recepire passivamente – ci si accontenta di leggere il racconto – o attivamente: si vivono i riferimenti, ascoltando la musica, guardando le immagini dei quadri o ritrovandoli con la memoria se già si conoscono.