la parola che associo a Rebecca è andare… nelle sue mille risonanze, ascendenze e parentele varie…
andare per città… Como, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna… dalla via Regina alla via degli Angeli…
andare per vigneti nel Mendrisiotto sulle orme del Magister veneziano…
andare per laghi e valli… risalire il Lario e piegare verso Chiavenna e poi puntare al Maloja attraverso la Bregaglia… sostare un poco a Vicosoprano per riprendere fiato tra le incombenti pareti di roccia irte d’abeti… e finalmente salire al Passo e sedersi lì presso l’atelier di Segantini e bagnarsi nella luce d’oro che trascorre per tutta l’Engadina… 6000 piedi al di là…
andare… conversare… e poi fermarsi in mezzo alla via… su un passaggio difficile… e quindi riprendere l’andatura… fare una breve pausa per un corroborante… ripartire… e certe volte seguire passo passo serio serio le sue parole e non cogliere subito il suo spirito… e allora lo scoppio della sua risata… il detonare di un esplosivo che libera il pensiero… ancora andare
proseguire infaticabili e dimentichi…
andare… cercare Arturo Benedetti Michelangeli e non trovarlo per un “ultimo” saluto…
andare… ancora assaporare da lontano Venezia…
andare

Luigi

Rebecca che legge: da quando la conosco, l’ho sempre vista con un libro davanti a sé – una sorta di protesi mobile del proprio corpo.

Rebecca che scrive: nelle forme più varie, con un piacere quasi fisico di creare e sperimentare.

Rebecca che legge e scrive con il corpo: questa non so spiegarla, ma è una mia ferma convinzione (anche se in questa relazione tra Scrittori e corpo – cfr. testo di Matteo Marchesini – c’è forse, me ne rendo conto, una certa dose di stucchevole retorica; pazienza, corro il rischio).

Rebecca che insegna, in un ricordo. Un vicepreside di fresca nomina, una piccola scuola di montagna, il chiasso che proviene da un’aula con la porta socchiusa. Il nuovo vice si arrabbia e irrompe nell’aula, poi si arresta, un po’ imbarazzato: era solo una classe che applaudiva gli exploit didattici della giovane insegnante taciturna, quella stessa che parlava poco nei viaggi in macchina da pendolare, ma ammaliava gl’imberbi montanari recitando Dante e creando terzine solo per loro – ragazzi delle frazioncine tutt’attorno che al mattino arrivavano a scuola in Ape Piaggio, marcia corta ad affrontare la rampa d’accesso al cortile, sapiente derapata per infilarsi nell’ultimo posto libero. Al termine dell’anno, uno spettacolo di sonetti squillanti e raffinati, composti e letti in pubblico dai giovani Apisti ben guidati dall’insegnante – un successo clamoroso, un abbraccio gioioso tra Rebecca e Gabriele: tra i più belli, dei miei ricordi di scuola.

Aurelio

Non basterebbero dieci vite per acquisire l’immensa conoscenza di Rebecca, frutto di una vita di letture e di studio, di un’intelligenza vorace e di una memoria prodigiosa, che fanno di lei un ‘gigante’ di sapienza e un’abile scrittrice. Ma ciò che sorprende maggiormente in lei è una freschezza quasi infantile, una sorta di purezza incorrotta e genuina: sarà per lo sguardo profondo e per gli occhi grandi, per la risata scrosciante o per lo spirito giocoso che rende leggero il tempo trascorso insieme… ma è impossibile non volerle bene!

Laura

la mano di Rebecca su cappello di paglia
Ho conosciuto Rebecca appena laureata: giovane, bella, brillante, camminatrice, esploratrice, sempre in movimento. Ci siamo incontrate al lavoro, era una giovanissima insegnante di lettere. Ricordo che spesso chi assisteva alle sue lezioni ne usciva con frasi del tipo: “Peccato sia durata così poco. E’ stata interessante”. È sempre stata anticonformista, imprevedibile con il suo umorismo tagliente, lavorare con lei è stato divertente, le sue idee geniali colpivano tutti quelli che le stavano attorno.

Mary J.

La prima cosa che ti colpisce di Rebecca è la vastissima cultura, l’originalità del pensiero, l’estrema sensibilità e il suo vivere in un mondo sognato dove trasporta anche gli altri.

Itala

Rebecca insegnava in una sede diversa dalla mia. Qualche volta la incrociavo nei pressi di Belle Arti, andava spedita per non perdere il treno per Bologna. La chiamavo “Speedy Gonzales” perché non avevo il tempo di terminare la frase… ciao come stai, che era già in fondo alla strada. Il suo modo di essere dinamica l’ho riscontrato nel leggere il suo libro La memoria perduta di Harmonizer. Le parole scorrono come un fiume in piena prendendo forma e colore, una action painting che sfocia in un continuum semantico, un pentagramma dove le note formano una dolce armonia. Del resto Rebecca sa suonare il pianoforte e ama la musica classica. Ci siamo incontrati su FB otto anni dopo, mi inviò un canto pseudodantesco che aveva scritto, con parole costruite su misura, con tecnica di espansione del lessico per mezzo di suffissi e prefissi. Rebecca è una intellettuale dotata di una visione interiore, che le consente di scrivere e comunicare esperienze sensibili dell’essere e dell’esistenza. Grazie Rebecca per i tuoi preziosi scritti. Con affetto,

Gennaro