Frei soll die Phantasie erst schalten,
Nach ihrem Gefallen die Fäden verweben.
Hier manches verschleiern, dort manches entfalten,
Und endlich in magischen Dunst verschweben.
NOVALIS
LA NUOVA MELUSINA
J. W. Goethe
Egregi signori! Poiché mi è noto che non amate troppo i prologhi e i discorsi vani, voglio senz’altro assicurarvi che stavolta spero di cavarmela in modo eccellente. Ho già raccontato parecchie storie vere accolte da tutti con soddisfazione, ma oggi ho da raccontarne una che le supera di gran lunga tutte e che, quantunque io ne sia a conoscenza già da alcuni anni, ancora mi inquieta nel ricordo e lascia perfino sperare in uno sviluppo finale. Difficilmente se ne potrebbe trovare una simile.
Premetto che non sempre ho curato i miei affari in modo da essere del tutto sicuro dei tempi a venire o anche solo dell’immediato domani. Nella mia giovinezza non fui per nulla un buon amministratore e mi trovai spesso in varie difficoltà. Una volta intrapresi un viaggio che avrebbe dovuto procurarmi un buon guadagno. Ma nei miei calcoli avevo largheggiato un po’ troppo e dopo aver percorso il primo tratto a bordo di una speciale diligenza e aver poi proseguito per un certo tempo con un postale ordinario, mi ritrovai in ultimo costretto a procedere a piedi.
Da vivace ragazzotto qual ero, avevo da sempre l’abitudine, appena giunto in una locanda, di girare intorno all’ostessa o alla cuoca lusingandole, così che di solito il mio conto ne guadagnava in leggerezza.
Una sera, entrato nella stazione di posta di una piccola città, stavo per sbrigar tutto al mio solito modo, quando mi accorsi che proprio dietro di me, davanti alla porta, sferragliava una graziosa carrozza a due posti guidata da quattro cavalli. Mi guardai intorno e scorsi una madamina tutta sola, senza servitori e senza dama di compagnia. Subito corsi ad aprirle la portiera e a chiederle se potessi fare qualcosa per lei. Scendendo rivelò un aspetto leggiadro. Ma a guardar più da vicino, un tocco di tristezza impreziosiva il suo viso gentile. Chiesi ancora se potessi in qualche modo esserle utile. “Oh, sì” – disse – “se poteste prendere… con delicatezza il cofanetto che sta sul sedile, ma vi prego davvero di aver molta cura nel portarlo, di non muoverlo né scuoterlo.”
Presi con cautela il cofanetto. Lei chiuse la portiera della carrozza. Ci avviammo insieme su per le scale e lei disse alla servitù che si sarebbe fermata lì per la notte.
Ora eravamo soli nella camera. Lei mi chiese di posare il cofanetto sopra un tavolo che era accostato alla parete, e quando mi accorsi da alcuni suoi gesti che desiderava stare sola, mi congedai baciandole la mano con focosa deferenza. “Ordini la cena per entrambi” disse. E si può immaginare con quale piacere mi adeguassi alla richiesta, rivolgendomi con alterigia all’ostessa e alla servitù. Con ansia attendevo l’istante che mi avrebbe ricondotto a lei.
Fummo serviti, sedevamo uno di fronte all’altra. Per la prima volta dopo tanto tempo mi ristoravo con una buona cena e una splendida visione. Mi sembrava quasi che di attimo in attimo lei diventasse più bella. La sua conversazione era piacevole, ma sembrava anche attenta ad eludere qualsiasi discorso amoroso o sentimentale. Finimmo di cenare. Io esitavo, cercavo qualche stratagemma per avvicinarmi a lei, ma invano. Mi teneva a distanza con una certa austera compostezza, e non ci fu nulla da fare: fui costretto infatti, mio malgrado, a separarmi subito da lei.
Dopo un’inquieta notte perlopiù insonne e attraversata da sogni, mi alzai di buon’ora e andai a chiedere se avesse già ordinato i cavalli; appresi di no. Andai in giardino, la vidi già vestita, ferma alla finestra e salii di corsa da lei. Quando mi venne incontro, così bella, anche più bella del giorno prima, si destarono in me in una volta, amore, astuzia e audacia. Mi gettai su di lei, la strinsi nelle mie braccia e gridai: – “O angelica creatura, perdonami, ma è impossibile resisterti!” – Con incredibile agilità si liberò dalla mia stretta, tanto che non riuscii a darle neanche un bacio sulla guancia. – “Frenate simili accessi di improvvisa passione se non volete giocarvi una fortuna che vi sta molto vicina, e che anzi, già dopo qualche prova, potrete afferrare” – disse.
“Chiedi ciò che desideri, o spirito celeste!” gridai io, – “ma non portarmi alla disperazione.” – Lei replicò sorridendo: – “Se intendete essere al mio servizio, ascoltate le condizioni! Sono venuta qui a far visita a un’amica presso la quale penso di trattenermi qualche giorno, ma desidero che la mia carrozza e questo cofanetto proseguano il viaggio. Volete incaricarvene voi? Non avrete molto altro da fare che prelevare con cautela il cofanetto dalla carrozza e poi riporvelo; quando è dentro, sedervi accanto e provvedervi con la massima cura. Ogni volta che entrerete in una locanda, lo poserete sopra un tavolo, in una camera separata, dove non dovrete né alloggiare, né dormire. Aprirete la camera ogni volta con questa chiave che apre e chiude tutte le serrature e a ogni serratura conferisce una singolare qualità: quella di non poter essere aperta in quel frattempo da nessuno.” – La guardai, mi venne un singolare coraggio, le promisi che avrei fatto ogni cosa, purché avessi potuto sperare di rivederla al più presto e lei avesse potuto confermarmi tale speranza con un bacio. Lo fece, e da quell’istante divenni suo servo in tutto e per tutto. Mi chiese di fare attaccare i cavalli. Parlammo della strada che avrei dovuto prendere, dei luoghi in cui avrei dovuto fermarmi ad aspettarla. Infine mi mise in mano un borsellino pieno di monete d’oro e io posai le labbra sulle sue mani. Sembrava commossa dall’addio e io non sapevo già più quel che facevo o quel che avrei dovuto fare. Quando tornai indietro, dopo aver ordinato i cavalli, trovai chiusa la porta della stanza. Provai allora la mia chiave speciale che diede subito buona prova di sé. La porta si aprì. La camera era vuota, solo il cofanetto stava ancora lì sul tavolo dove l’avevo posato. La carrozza intanto era arrivata, vi trasportai con ogni cura il cofanetto e lo posai accanto a me sul sedile. L’ostessa chiese: “Ma dov’è la signora?”. Un bambino rispose: “E’ andata in città.” Salutai tutti, congedandomi con aria di trionfo da quelle persone che la sera prima mi avevano visto arrivare impolverato come l’ultimo dei viandanti.
Ora, come io con buon agio ripensassi a tutta questa storia e contassi il denaro, quali disparati progetti facessi, e come di tanto in tanto sbirciassi di sottecchi il cofanetto al mio fianco, potrete facilmente immaginare. Proseguii dritto filato, saltando diverse tappe, non mi fermai finché non giunsi in vista dell’importante città dove lei mi aveva detto di fermarmi. I suoi ordini dovevano essere accuratamente eseguiti, il cofanetto posto in una camera separata, accanto a due candele spente, così come aveva ulteriormente disposto. Chiusi la camera, mi sistemai e ordinai qualcosa di buono.
Per un po’ mi persi nel pensiero di lei, ma il tempo non passava mai. Non ero abituato a vivere senza compagnia e la trovai subito alle tavolate della locanda e nei luoghi aperti, secondo il mio gusto. Fu in quella occasione che il mio denaro cominciò a scarseggiare finché una sera si dileguò del tutto dal mio borsellino, allorché mi abbandonai senza cautela a un’appassionante partita a carte. Tornato nella mia stanza, ero fuori di me. Privato del denaro, con l’aria di un ricco che attenda di pagare un conto sostanzioso, senza sapere se e quando la mia bella si sarebbe fatta rivedere, mi trovavo nella più grave difficoltà. Doppiamente la desideravo, pensando che non avrei più potuto vivere senza di lei, e senza il suo denaro.
Dopo la cena che non avevo gustato per niente, poiché questa volta ero stato costretto a goderne da solo, cominciai ad andare avanti e indietro impetuosamente per la stanza, parlando con me stesso, maledicendomi, gettandomi a terra, scompigliandomi i capelli, assumendo pose da scalmanato ribelle. Ma all’improvviso, dalla stanza chiusa sento come un movimento lieve, e subito dopo un battere alla porta ben sorvegliata.