La nuova Melusina 2

testo La nuova Melusina in lingua originale sulla scrivania di Rebecca

Mi scuoto, afferro la chiave ma i battenti della porta si spalancano da soli e nel chiarore delle due fiamme risplendenti la mia bella mi viene incontro. Mi getto ai suoi piedi, bacio il suo vestito, le sue mani. Lei mi fa rialzare. Io non oso abbracciarla, ho appena il coraggio di guardarla, ma sincero e pentito le confesso il mio errore. “E’ perdonabile” – disse – “solo che purtroppo ritarderà la vostra fortuna e anche la mia. Ora dovrete di nuovo girare in lungo e in largo per il mondo prima che ci si possa incontrare ancora. Qui c’è dell’altro oro – disse – in quantità sufficiente, se saprete usarne con misura. Finora vi hanno messo negli impicci il vino e il gioco, ma da ora in poi guardatevi anche dalle donne e lasciatemi sperare che il nostro prossimo incontro sia più lieto”. – Si fece indietro, la porta si richiuse, io bussai, pregai, ma non si sentiva più nulla. Quando il mattino seguente chiesi il conto, il cameriere sorridendo disse: – “ Così ora sappiamo perché chiudete le porte in modo  tanto strano  e complicato che nessuna chiave può aprirle. Immaginavamo che aveste molto denaro e gioielli, ma ora abbiamo visto il vostro tesoro scendere giù per le scale e… sembrava in tutto degno di essere ben custodito”.

Non replicai, saldai il conto e salii con il mio cofanetto sulla carrozza. Andai dunque di nuovo per il mondo con il più fermo proposito di tener conto in futuro del monito della mia amica misteriosa. Ma ero appena giunto di nuovo in una grande città che subito feci conoscenza con alcune amabili donnette da cui non riuscii a liberarmi. Sembrava volessero farmi pagar cari i loro favori; infatti tenendomi sempre a una certa distanza mi inducevano a una spesa dopo l’altra e poiché io tentavo solo di favorire i loro piaceri, non pensavo minimamente alle mie finanze, anzi spendevo e spandevo sempre più, proprio come era successo prima. Ma quali furono il mio stupore e la mia gioia quando dopo alcune settimane vidi che il borsellino era ancora pieno, e che anzi era ancora bello tondo e gonfio come all’inizio. Volendo studiare più da vicino questa bella e singolare proprietà, mi sedetti a contare, annotai esattamente la somma e ricominciai a spassarmela allegramente con la mia brigata. Non ci facevamo mancare nulla: gite in campagna e sui laghi, canti, danze e altri piaceri. Ora però, non occorreva una particolare attenzione per accorgersi che in verità il peso del borsellino stava diminuendo, e aveva cominciato a farlo proprio quando io con la mia maledetta voglia di contare gli avevo rubato la virtù dell’innumerabile. Intanto quella vita allegra continuava e io non potevo tirarmi indietro, ma il denaro era quasi finito. Maledicevo la mia situazione, inveivo contro la mia amica che mi aveva indotto in tentazione, non era bello che non si lasciasse rivedere; in preda alla rabbia mi dicevo libero da tutti gli obblighi verso di lei e mi riproponevo di aprire il cofanetto, che chissà, forse nascondeva qualcosa in grado di aiutarmi. Però non era abbastanza pesante per contenere denaro, tuttavia forse avrebbe potuto contenere gioielli e anche questi sarebbero stati molto bene accetti. Ero in procinto di attuare il mio proposito ma lo rinviai alla notte per poter compiere in tutta calma l’operazione, intanto mi affrettai a un banchetto che era appena stato annunciato.  Vi fu di nuovo molta animazione ed eravamo fortemente eccitati dal vino e dal suono delle trombe, quando mi capitò uno sgradevole incidente: al dessert, un vecchio amico della mia ragazza preferita, di ritorno da un viaggio, inaspettatamente entrò, si sedette accanto a lei e senza particolari cerimonie tentò di far valere i suoi antichi diritti. Da qui scoppiò rapidamente una lite furibonda, ce le suonammo di santa ragione e alla fine fui trasportato alla locanda mezzo morto e pieno di ferite.

Il medico dopo avermi fasciato era andato via. Era già notte fonda, il mio infermiere si era addormentato, quando la porta della camera accanto si aprì e la mia misteriosa amica entrò e si sedette sul letto accanto a me.  “Come stai?” mi chiese. Non risposi. Ero spossato e infastidito. Lei seguitò a parlare mostrando un vivo interesse, mi strofinò le tempie con chissà che balsamo. E subito mi sentii rinvigorito, così tanto da potermi adirare e rimproverarla. Con un veemente discorso le scagliai addosso tutte le colpe della mia sfortuna. Accusai la passione che mi aveva ispirato, la sua apparizione e la sua sparizione e la noia e il malinconico struggimento che avevo dovuto sopportare. Ero in un delirio di furia, quasi mi avesse assalito una febbre, e in ultimo le giurai che se non fosse stata mia, se questa volta non avesse voluto ascoltarmi, se non avesse voluto unirsi a me, io non avrei più voluto saperne di vivere. Esigevo una risposta chiara. E quando lei titubando eluse la risposta, persi del tutto il controllo di me stesso, strappai le due, tre fasciature dalle ferite con la ferma intenzione di morire dissanguato. Ma non vi dico il mio stupore quando trovai le mie ferite risanate, il mio corpo bello e risplendente e lei fra le mie braccia.

Ora eravamo la coppia più felice del mondo. Ci chiedevamo a vicenda perdono senza sapere bene il perché. Mi promise che avremmo viaggiato insieme, ed ecco eravamo già seduti lì, uno accanto all’altra in carrozza. Di fronte a noi al posto del terzo passeggero, il cofanetto. Non vi avevo mai accennato e anche adesso non mi andava di parlarne, anche se stava davanti ai nostri occhi, e noi, come per un tacito accordo, ce ne curavamo entrambi ogni volta che l’occasione lo richiedeva. E come al solito io dovevo trasportarlo fuori e dentro la carrozza e occuparmi come le volte precedenti, della chiusura della porta.