La nuova Melusina 6

In che stato mi trovassi, non sarei in grado di esprimerlo e non mi resterebbe infatti altro da dire se non che in un attimo mi ritrovai rimpicciolito, accanto alla mia bella, in una foresta di fili d’erba. La gioia di ritrovarsi dopo una così breve e pur singolare separazione, o se preferite, dopo un ricongiungimento senza distacco, supera ogni immaginazione. Le saltai al collo, lei contraccambiò le mie carezze e insomma in versione ridotta eravamo felici non meno di quanto lo fossimo stati quando avevamo tutt’altre dimensioni. Con qualche difficoltà ci inerpicammo su per una collina, giacché il prato era ormai per noi quasi un’impenetrabile foresta. Ma finalmente giungemmo a una radura, e quale fu il mio stupore nel vedere lì una grande massa regolare nella quale riconobbi subito il cofanetto nella posizione in cui l’avevo lasciato.

testo La nuova Melusina in lingua originale sulla scrivania di Rebecca

“Vieni, amico mio, bussa con l’anello, e vedrai qualcosa di meraviglioso” disse la mia amata. Io avanzai e avevo appena cominciato a bussare quando ai miei occhi si mostrò il più singolare prodigio: spuntarono due ali di edificio e subito diversi pezzi caddero giù come scaglie e trucioli, e all’improvviso di fronte ai miei occhi si ersero porte, finestre, colonnati e tutto ciò che deve appartenere a un palazzo degno di questo nome. Chi ha visto uno di quegli ingegnosi scrittoi di Roentgen dove con una spinta si mettono in movimento tante molle e funzioni, e in cui leggio e strumenti per scrivere, comparti per le lettere e per le monete si estrinsecano tutti in una volta o rapidamente uno dopo l’altro, potrà farsi un’idea di come si dispiegasse quel maniero nel quale la mia dolce accompagnatrice stava per farmi entrare. Nella sala principale riconobbi all’istante il camino, che tempo prima avevo visto dall’alto e la poltrona dove lei si era seduta, e quando guardai sopra di me, mi parve di notare nella cupola qualcosa di simile alla fessura attraverso la quale ero riuscito a scrutare l’interno. Vi risparmio la descrizione del resto, basti dire che tutto era spazioso, preziosissimo e pieno di gusto. Avevo appena finito di riprendermi dalla meraviglia quando da lontano sentii provenire una musica militare. La mia dolce metà saltò su dalla gioia annunciandomi entusiasticamente il ritorno del suo signor padre. Varcammo la porta e vedemmo muoversi, come da un’enorme fenditura nella roccia, un corteo sfavillante. Seguivano soldati, servitori, dignitari e un rilucente apparato di corte. Infine riuscimmo a intravedere una dorata confusione e in quella il re in persona. Quando l’intero corteo fu giunto di fronte al palazzo, il re si fece avanti con gli uomini del suo seguito. La sua tenera figlia gli andò incontro di corsa, mi trascino con sé, ci prosternammo ai piedi del sovrano il quale molto benevolmente mi fece alzare. Solo quando stetti in piedi dinanzi a lui, mi accorsi che in quel piccolo mondo ero io ad avere la statura più alta. Varcammo insieme la soglia del palazzo, e lì il re alla presenza di tutta la sua corte, con un discorso ben studiato nel quale espresse il suo stupore per aver trovato lì sua figlia e me, si degnò di darmi il benvenuto, mi riconobbe come suo genero e fissò la cerimonia di nozze per l’indomani.

Come s’incupì il mio umore appena sentii parlare di matrimonio: mi faceva addirittura più paura della musica stessa, che già mi sembrava la cosa più odiosa sulla terra. Coloro che fanno musica, come si suol dire, hanno almeno l’illusione di essere uniti tra loro e di operare in armonia, perché quando hanno accordato a lungo gli strumenti e ci hanno distrutto le orecchie con ogni specie di note stonate, allora credono fermamente che dopo quel momento la musica possa tornare limpida e chiara e uno strumento possa accordarsi esattamente con un altro. Lo stesso maestro di cappella è immerso in questa felice illusione e tutto va avanti in allegria mentre le nostre orecchie sono ininterrottamente martirizzate. Nel matrimonio invece non è proprio questo il caso: infatti quantunque sia solo un duetto e si possa presumere che non sia difficile accordare due voci, anzi due strumenti, ciò in realtà accade di rado. Infatti se l’uomo dà un tono, la donna ne prende uno più alto, e l’uomo uno ancora più alto, e così via, passando dalla musica da camera a quella corale, e via via ancora più in alto, tanto che alla fine anche gli strumenti a fiato suonano senza poter più seguire nulla: dunque se la musica armonica resta per me sgradevole, ancor più si dovrà comprendere che io non possa assolutamente soffrire quella disarmonica.

Di tutti i festeggiamenti che ebbero luogo quel giorno, non voglio e non posso raccontare, visto che non vi badai quasi per nulla. Il cibo eccelso, l’eccelso vino, niente era di mio gusto. Mi arrovellavo pensando a cosa fare. Ma non c’era granché da perdersi in pensieri. Decisi di andare via e nascondermi da qualche parte non appena fosse scesa la notte.  Riuscii felicemente a raggiungere una pietra dove si apriva una fenditura nella quale mi insinuai a forza, nascondendomi come meglio fu possibile. Il primo sforzo fu di togliermi lo sciagurato anello che però non riuscivo a sfilare in nessun modo, anzi mi sembrava stesse diventando sempre più stretto. Non appena provai a toglierlo, sentii un atroce dolore che però cessò non appena desistetti dal mio proposito.

La mattina presto mi svegliai – la mia piccola persona aveva dormito molto bene – cominciai a guardarmi intorno quando cominciò a grondarmi addosso una specie di pioggia sabbiosa. Attraverso l’erba, le foglie, i fiori, fui investito da una quantità di sassolini, e come mi spaventai quando tutto quel diluvio intorno a me brulicò vivo, e una schiera infinita di formiche mi saltò addosso. Appena mi scorsero, mi aggredirono da tutti i lati e nonostante mi difendessi abbastanza coraggiosamente e con onore, alla fine mi ricoprirono, pizzicarono e tormentarono, tanto che fui davvero sollevato quando udii che mi urlavano di arrendermi. Mi arresi dunque subito, e una formica di imponente statura mi si avvicinò con cortesia, anzi addirittura con rispetto, offrendomi perfino i suoi servigi.  Appresi che le formiche avevano stretto alleanza con mio suocero e che lui nel presente caso le aveva chiamate intimando loro di ritrovarmi. Ed ecco, ero lì, un essere minuscolo in balia di esseri ancor più minuscoli. Tornai dunque al mio nido nuziale e dovevo ringraziare Dio se il suocero non si era adirato e la bella non mi teneva il broncio. Lasciatemi ora tacere di tutte le cerimonie, basta, eravamo sposati. Ed eravamo così allegri e felici, sebbene non mancassero quelle ore solitarie in cui si è inclini alla meditazione, finché accadde ciò che non mi era mai accaduto, ma cosa e come, lo saprete adesso.

Tutto intorno a me era perfettamente commisurato ai bisogni della mia miniaturale personcina: bottiglie e bicchieri ben proporzionati a un piccolo bevitore, perfino, se si vuole, di misure più armoniose che da noi. I teneri bocconi avevano un sapore eccellente per il mio piccolo palato, un bacio della boccuccia della mia sposa era davvero stuzzicante, e non nascondo che la novità mi rendeva tutte queste circostanze massimamente gradevoli. Purtroppo però non avevo dimenticato la mia passata condizione. Sentivo in me il richiamo della mia vecchia natura e ciò mi rendeva inquieto e infelice. Ora afferro per la prima volta ciò che i filosofi vogliono intendere con i loro ideali, che tanto affliggono gli uomini… Io avevo un ideale di me stesso e a volte in sogno mi vedevo come un gigante. Per dirla tutta: la donna, l’anello, la figura di gnomo e tutti gli altri vincoli mi rendevano così profondamente infelice che cominciai a pensare sul serio alla mia liberazione.

Poiché ero convinto che l’intero prodigio avesse la propria fonte segreta nell’anello, decisi di liberarmene limandolo. Rubai dunque al gioielliere di corte qualche limetta. Fortunatamente ero mancino e nella mia vita appunto non avevo mai combinato niente di destro e di giusto e di retto. Mi misi coraggiosamente all’opera. Non era cosa da poco: infatti il cerchietto d’oro, per quanto sembrasse sottile, in proporzione era diventato più spesso come se dalle sue originarie dimensioni si fosse contratto. Tutte le ore libere le dedicavo inosservato a questo lavoro e fui abbastanza accorto da posizionarmi davanti alla porta quando l’ultimo seghettio fece schizzar via l’anello dal mio dito. Ecco, ce l’avevo fatta e la mia figura con altrettanto slancio balzò in alto, tanto che pensai davvero di essere diretto al cielo e di aver sfondato la cupola del nostro palazzo estivo, di averlo anzi distrutto interamente, con la mia ingenua         sbadataggine.

Così ero di nuovo lì fuori, ma un bel po’ più grande, soltanto, mi pareva, anche un bel po’ più stupido, e quando mi riscossi dal mio stordimento vidi che lo scrignetto era accanto a me, e nel sollevarlo lo trovai piuttosto pesante. Lo portai con me giù per il sentiero fino alla stazione di posta dove feci attaccare i cavalli e appena partito, mi misi subito a tastare la consistenza delle tasche sui due lati. Al posto del denaro, che sembrava finito, trovai una piccola chiave: apriva lo scrigno, nel quale trovai una discreta sommetta. Finché durò viaggiai in carrozza, in seguito la vendetti e proseguii con il postale. Lo scrigno lo diedi via a poco prezzo, ma molto più tardi, perché pensavo sempre che prima o poi si sarebbe di nuovo riempito.

Così, alla fine, dopo altre lunghe peregrinazioni, mi ritrovai al focolare della cuoca, lì dove mi avete conosciuto.

FINE