Certe mattine andavo dalle parti del Camping e dopo un girovagare piuttosto cauto lì dove cominciava la boscaglia sotto il livello della strada che saliva al Maloja, non sapendo dove andare, mi sedevo su una panchina sotto alti alberi scuri. Avevo il coraggio di annoiarmi! Mi annoiavo perché pensavo che avrei potuto fare altro invece che starmene seduta su quella panchina. Pensavo al bosco e al prato, schematicamente: il prato, aperto a ogni yesterday quindi insidioso, bloccante, evocatore; il bosco invece chiuso a tutti i tempi, quindi il contrario del prato. Proprio in un bosco in VAL ROSEG, mi appare una volta in rosso su un cartello dei sentieri la scritta BOSCHA DE TISCHLIN: se in Romancio significasse BOSCO DI TIGLI! E solo ora, mentre ascolto le sinfonie di SCHUMANN penso che avrei potuto vedere, invece che stare su quella panchina, su monti non lontani, la’ dove si scioglie qualche nevaio, come si forma il Reno sgorgando in rivoli di spuma tutti accorrenti, giù per le gole alpine, verso il grande richiamo della confluenza di Reichenau… il VORDERRHEIN, l’HINTERRHEIN (uno dei quali scorre sotto il castello di RHAZUNS).
Forse già allora accarezzavo l’idea di seguirlo affiancandolo dalle sue origini sulle Alpi fino alla sua miserrima morte nel Mare del Nord. Ma lo avrei seguito solo per brevi tratti: STEIN AM RHEIN, SCHAFFHAUSEN, RHEINFELDEN, BASILEA, BREISACH, STRASBURGO, e poi su fino a COBLENZ passando per MAGONZA e per WORMS, città che mi hanno profondamente deluso. Non tanto MAGONZA, in cui almeno poteva trovarsi qualcosa di non strettamente attuale come un monumento a Gutenberg, quanto WORMS che non reggeva il confronto con la città Nibelungica da me immaginata leggendo una didascalia del CREPUSCOLO DEGLI DEI, dove il Reno, simile a un mare dorato, scorreva all’altezza del lungofiume, una promenade a terrazza, balaustrata di bianco.
Anche un altro fiume avrei seguito, fino alla splendida desolazione meridiana di un villaggio chiamato BEVER. Lunghissimo il ritorno verso il MALOJA. Il sole spaccava le pietre. Mancava il bosco. Accanto mi scintillava, calmo e regolare, il corso dell’INN.
Da quella panchina mi alzavo sempre scontenta di me stessa per non aver avuto il coraggio di inoltrarmi là dove il bosco era più intricato e più denso di ombre. Sotto un ponte situato tra la panchina e il camping giganteggiavano i massi squadrati e biancastri di un fiume che non avevo mai visto scorrere. Un cartello ammoniva sui rischi del suo fulmineo incombere che io mi figuravo travolgente. Potrei essere scesa sui quei massi o averli semplicemente guardati con una certa insistenza: della memoria non mi fido.
In casa AURORA mi aspettavano INFINITE JEST ed alcuni racconti di Hoffmann in un Millennio Einaudi fuori catalogo miracolosamente trovato in qualche libreria antiquaria di BOLOGNA. HOFFMANN lo avevo già letto nei sotterranei di quella immensa biblioteca che sorge accanto alla fontana DEL NETTUNO. Ricordo il mattino nevoso in cui ho scoperto che uno dei suoi racconti era intitolato LA GARA DEI CANTORI e che uno dei cantori era HEINRICH VON OFTERDINGEN e penso a scenari hoffmanniani, alle birre affumicate nelle cupe taverne di Bamberga e al Reno, quando ascolto certe sinfonie.
Durante quel pomeriggio di letture scorgevo in lontananza i monti azzurri di qualche valle estrema del Nord Italia. Certe volte mi inoltravo nelle zone più alte del villaggio oltre i due ponti sotto i quali scorreva schiumeggiando uno stesso fiume. Mi infilavo in una stradina in salita in fondo alla quale sorge una chiesa che di sera si illumina di un bianco lunare e si può scorgere anche a grande distanza. Come tutte le chiese di qui, questa è aperta anche se sembra chiusa ed è attorniata da un piccolo cimitero giardino.
E come la parola “serafite” nasce da una visione in un’alba invernale della Ghirlandina di Modena, così la parola “litofane” nasce dalla “manifestazione della pietra” che sostanzia il campanile più alto del villaggio di VICOSOPRANO in Val Bregaglia.
Fine